Eric Emmanuel Schmitt, nato nel 1960, drammaturgo, scrittore, saggista francese vivente; autore di una quarantina di opere tradotte in diverse lingue: “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano”, “Piccoli crimini coniugali”, “La parte dell’altro” (in cui immagina
come sarebbe andata la storia se Hitler non fosse stato respinto dall’Accademia di belle arti), “Il vangelo secondo Pilato”, “La vendetta del Perdono” (appena tradotto e pubblicato in Italia).
L’interrogativo che persiste nelle pagine di questo libro può essere così formulato: “Riusciresti a perdonare chi ha compiuto atti di violenza –anche esecrabile- o ha rivolto of fese a te o a persone a te care?”. L’Autore risponde affermativamente e ne dà una sua interpretazione narrando quattro vicende.
– La prima racconta la vita di due sorelle gemelle, una gelosa dell’altra, che, invece, l’ama profondamente.
– La seconda narra la storia di un giovane ricco e istruito che, per scommessa conaltri amici coetanei, seduce ed abusa sessualmente di una ragazza povera, analfabeta, ingenua che rimane incinta e diventa madre di un bambino, che lui le sottrarrà per farlo vivere nel proprio ambiente agiato.
– La terza, che dà il titolo all’opera, racconta la storia di una madre che incontra in carcere il serial-killer, che tra le quindici donne -tutte stuprate e poi brutalmente uccise-, al terzo posto in ordine di tempo aveva annoverato Laure, la propria unica figlia.
– La quarta racconta la storia di un vecchio scontroso e taciturno che viene intenerito e conquistato dall’interesse di una bambina che gli chiede di leggerle “Il piccolo principe”: durante la lettura il vecchio prende coscienza di un segreto dimenticato.
Ritengo che il terzo racconto (che ha per titolo lo stesso dato all’opera) risulti più emblematico ed evocativo per comprendere l’interpretazione particolare che l’Autore dà al termine e all’intonazione del perdono.
La vendetta del perdono.
Sam Louis: colpevole e reo confesso, condannato per crimini sessuali, pluriomicida (serial-killer); quindici assassinii, quindici vittime, donne, anche la figlia di Elise.
Elise decide di cambiare abitazione e città, trasferirsi da Parigi, andare in Alsazia, perché Sam stava scontando la pena dell’ergastolo in una prigione di quella regione.
Elise: “Io nemmeno mi capisco. Ma lo farò lo stesso… Non mi fa piacere ma non ho scelta.”
Sam, il mostro, aveva scosso il pubblico durante il processo: “Agghiacciava la sua descrizione degli omicidi in maniera tecnica, clinica, fredda, senza un briciolo di sentimento”. Il carnefice non provava alcuna empatia per le vittime ed era persino estraneo a se stesso: anaffettivo.
Sam, “l’assassino di Montparnasse”: orfano, parcheggiato in diversi Istituti pubblici, dato in affidamento ad una famiglia che già aveva accolto tre bambine, ed era disposta ad accogliere i ‘casi’ più difficili, quelli che nessuno voleva, perché erano economicamente più vantaggiosi.
Poiché aveva tentato di strangolare le tre sorelle adottive, fu allontanato dalla famiglia…: riformatorio, poi si era messo a bere e a drogarsi; aveva violentato una ragazza, carcere (due anni); si era prostituito a Parigi.
E poi è cominciata la lunga scia dei quindici delitti, tutte donne assassinate dopo essere state violentate: stesso modus operandi.
Laure, 23 anni, figlia di Elise, è stata la terza in ordine di tempo: l’attesa del suo ritorno, i tentativi di sentirla al telefono, la comunicazione della polizia, l’arrivo all’obitorio, il riconoscimento, …
Elise, dopo la morte della figlia, andava avanti perché sostenuta dall’odio verso tutti; era l’odio a tenerla in vita, senza odio sarebbe morta.
Da quello stato d’animo nacque l’idea, il desiderio, la decisione di andare in prigione ad incontrare Sam, il pluriomicida…
Inoltrò la domanda di incontro: per tre volte Sam rifiutò di vederla; alla quarta accettò. In parlatorio.
Elise: “Mi concedi il diritto di interessarmi a te? Perché il mio interesse verso di te?”
Sam: “La mia mamma adottiva: ”.
E. “Ti sei convinto di essere un mostro!”
S. “Quanti ne conosci che hanno ammazzato quindici ragazze?”
E. “Tu non ti vuoi bene perché nessuno mai ti ha voluto bene”.
S. “Sono diventato quello che nessuno vuole. Ora, qui dentro, sono inoffensivo. La prigione mi salva da me stesso. Qual era tua figlia?”
E. “Laure”.
S. “Che numero?”
E. “La terza”.
S. “Quasi non la ricordo”.
Terminato il colloquio, Elise tornò a casa e in un’ora si lavò quattro volte; sentiva il bisogno di purificarsi.
Elise si percepiva come la madre delle quindici ragazze; era diventata l’amica di tutti i parenti delle vittime: “Accogliere il dolore di tutti aveva stemperato il suo.”
Aveva deciso di entrare direttamente in contatto con lui, perché durante le udienze nel processo “era rimasto impassibile, senza mostrare alcun rimorso, dolore, compassione verso le vittime”.
Il mese successivo Elise si accontentò di passare davanti al Penitenziario: “Chi vi era dentro scontava una pena; anche lei era prigioniera…: il suo carcere era l’insensibilità di Sam”.
Un sabato d’aprile tornò al penitenziario. Sam l’aspettava.
Elise: “Che fai?”
Sam: “Ammazzo il tempo!”
E. “Accetti che mi interessi a te?”
S. “Ti sei innamorata? Ti eccito? In fondo non sono male!”
E. “Non sei male. Non hai bisogno di costringere le ragazze a fare l’amore minacciando-
le con un coltello”.
S. “Ti sei innamorata; non sei vecchia, sei ancora in forma”.
E. “Sono una madre”.
S. “La madre di una ragazza che ho ucciso e violentato”.
E. “Ti guardo come una madre, Sam. E tu come un figlio che avrei poturo avere. Sai co-
s’è una madre?”
S. “No”.
E. “È una che non respinge, che accoglie, ama, non giudica, perdona”.
S. “Ci sono azioni che non si possono perdonare”.
E. “Chi l’ha detto? Prima di perdonare bisogna capire, e io non ho capito le tue azioni”.
S. “Capirmi non ti renderà certo tua figlia”.
E. “Laure se n’è andata per colpa tua: ora non c’è più, neppure al cimitero; assenza totale, nessuna traccia: in casa, in cielo, nell’infinito, … So bene che una merda come te non mi restituirà mia figlia: sei stato buono solo a togliermela! E non hai dato un segno di contrizione, compassione verso i familiari delle vittime”.
S. “A che servirebbe?”
E. “Ti aiuterebbe a soffrire meno”.
S. “Piantala con queste famiglie; Io non ho avuto famiglia: quindi ci sputo sopra”.
E. “Dimostrando compassione ti saresti rivelato … umano”.
S. “Hai mai visto una tigre a caccia? Io sono come una tigre, un essere solitario, padrone di un territorio che difende e non cede a nessuno… Quando va a caccia, affina i sensi, fa un piano di attacco: quando la vittima la vede, la tigre l’ha già vista mille volte, si avvicina a dieci metri e poi coglie la preda …”
Elise immaginò Sam, la ‘tigre di Montparnasse’, quindici delitti, che punta la ragazza, si getta su di lei, …
E. “Una tigre non sarebbe mai venuta in parlatorio. Tu sì”.
IL sabato successivo si trovarono di nuovo di fronte nel parlatorio della prigione. Elise non aveva voglia di affrontarlo; si era limitata a presentarsi lì. Restarono zitti: chi per primo avrebbe ceduto e cominciato a parlare?
Trascorse un’ora; scaduto il tempo, la guardia venne a prendere l’ergastolano che disse:
“Non tornare la prossima settimana!”.
La settimana dopo Elise si presentò puntuale.
Sam le sorrise e le disse: “Sono contento”.
E. “Posso restare solo cinque minuti”.
S. “Hai altri figli?”
E. “Oltre a chi?”
S. “Laure”.
E. “Mi fa piacere che te lo ricordi”.
S. “Non hai avuto maschi”.
E. “E tu non hai avuto madre”.
S. “Tu vuoi capire perché ho fatto quello che fatto. Io vorrei capire perché tu fai quello che fai. Riusciremo? Mia madre mi ha tradito due volte. Non mi ha solo abbandonato.
Anche la mia madre adottiva mi ha tradito a ripetizione”.
E. “Non aver paura, a me puoi dire tutto. Oggi devo scappare. A sabato prossimo … Non ti lascerò. Conta su di me, sarò qui come una vera madre”.
Elise si trovò il solito enigmatico interrogativo: perché andava a trovare quel perverso, perché frequentarlo, guardarlo, ascoltarlo?
Sabato dopo in parlatorio.
E. “La scorsa settimana mi hai detto una cosa importante: hai confessato che le donne, per te più importanti, ti avevano abbandonato. Raccontami”.
S. “Mia madre mi ha abbandonato appena nato. Era una ragazzina svantaggiata, immatura, una vittima: né mi ha visto, né conosciuto. Da adolescente ero ossessionato dall’idea di conoscerla. Pregai l’educatore, che la conosceva, perché le facesse sapere la mia richiesta di figlio: mia madre gli ha urlato che se ne fregava, non voleva vedermi, che per lei valevo meno della cacca abbandonata per strada”.
La confessione continua. Sam racconta di aver tentato di violentare le sorelle adottive e per questo viene denunciato dalla madre adottiva; viene ‘sbattuto’ in un Centro Educativo. Dopo aver violentato una donna viene arrestato e condannato a due anni di detenzione. Uscito di prigione, supera ogni freno inibitorio fino a compiere anche azioni perverse: rapporti omosessuali, stupri, quindici assassinii.
E. “Quelle quindici volte hai provato piacere?”
S. “No… Né piacere né dispiacere. Provavo piacere prima di farlo e dopo averlo fatto: non durante”.
E. “È logico. Non ti piaceva perché stavi soddisfacendo un altro. Il mostro, la tigre: quello che ti credevi di essere. Il vero Sam è diverso da un mostro o da una tigre: è un ragazzo che avrebbe adorato avere una madre, conoscerla, volerle bene. Sam è diventa-
to una belva per proteggersi, per evitare di soffrire. Torna all’innocenza di quel bambino che cercava la madre. Voglio che tu resusciti quel Sam e lo restituisci a te e a noi”.
(Elise fece una pausa e notò che Sam aveva gli occhi lucidi. Stava piangendo e poi riprese.) “Di quel Sam accetto di diventare la madre, di offrirgli il sostegno per ricostruirsi, ricomporre la sua esistenza e affrontare l’altro Sam, l’assassino, il predatore, il mostro, la tigre e di indurli a tornare nella tana. Ti voglio dare la possibilità di conoscere la vera madre, non quella che ti ha generato, non quella adottiva che ti hanno tradito: quelle due ti hanno spinto a compiere azioni ignobili.”
Sam si mise a piangere e poi balbettò: “Proprio tu … dopo che ho ucciso tua figlia … proprio tu mi proponi di concederti la possibilità di volermi bene! Mi dispiace … Sapessi quanto mi dispiace …”
Elise finalmente provò sollievo, una pace nuova, e, senza esserne del tutto cosciente, disse: “Ti perdono, Sam”, e poi lo ripeté di nuovo, prima di cedere al capogiro, sentirsi mancare e cadere a terra.
Rianimanta dalle guardie, rinfrescata, rimessa in piedi con uno zucchero imbevuto alla menta, uscì dalla prigione. Come una sonnambula, incosciente dei pedoni, dei semafori, del traffico, si ritrovò davanti alla clinica veterinaria, dove aveva portato il suo gatto che qualche giorno addietro era stato investito.
Elise aveva deciso che era arrivato il tempo di partire, tornare a Parigi, di lasciare l’Alsazia; stava chiudendo la valigia quando l’avvocato di Sam la chiamò: “È stato il mio ex cliente ad insistere perchè la chiamassi. Sam sostiene che lei sia andata regolarmente a
trovarlo nel corso degli ultimi due anni. Grazie a lei, è successa una cosa straordinaria: Sam si è reso conto degli errori commessi; di aver tolto crudelmente la vita a quindici donne innocenti e ora ne soffre moltissimo, dolorosamente. Prima descriveva i suoi assassinii con la freddezza e la disumana obbiettività di una telecamera; adesso il pensiero lo ossessiona, il ricordo degli sguardi terrorizzati delle donne, le loro grida, i loro tentativi di resistenza … Da un mese ha cominciato a scrivere ai parenti delle vittime
per esprimere il proprio pentimento. È avvenuto un miracolo dovuto a lei. È diventato umano!”
E. “Le ha detto in che momento è diventato umano?”
Avvocato: “Il giorno che lei l’ha perdonato. Ora piange, singhiozza, soffoca, sta male.
Ora è un uomo: vuole che lei vada a trovarlo. Non la vede da otto settimane. Se va rimarrà sospresa!”
E. “Non credo che rimarrei sorpresa. Il mio scopo era quello di riportarlo a far parte dell’umanità.”
Avvocato: “Ma l’ha perdonato davvero?”
E. “Sì. Ne sono entusiasta. Era la cosa peggiore che potessi fare. Gli dica che non andrò più a trovarlo e gli dica anche: .”
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Considerazioni.
La narrazione di questa –e delle altre tre vicende- nella forma ricalca lo stile pirandelliano, tende al paradosso e nel contenuto sviluppa una trama che porta i protagonisti ad evidenziare tratti di personalità che coincidono, anche se seguono percorsi diversi: il
mostro che si denuda, abbandona la maschera, si toglie la corazza dell’indifferenza e dell’imperturbabilità; la vittima, accecata dal dolore, dalla sofferenza umana del sentimento materno per la perdita della propria figlia e delle figlie di altre madri.
Il mostro dal cinismo, dall’insensibilità passa alla vulnerabilità, alla fragilità: del resto è risaputo che chi si mostra violento e fa uso della forza fisica, lo fa per nascondere la propria debolezza e il proprio malessere.
La madre –vittima indiretta- manifesta la propria fragilità di essere umano, viene invasa da un dolore incommensurabile e profondo, e per sopravvivere incanala il proprio risentimento e lo dirige verso il carnefice col proposito di vendicarsi. E così alimenta di perfidia il proprio risentimento: deve distruggere le difese del mostro per fare emergere da quelle sembianze la inoffensiva e permeabile umanità del bambino a cui è stato sottratto l’affetto della madre.
Risulta essere abbastanza didattica e di sapore psicanalitico la diagnosi attuale del mostro-violentatore-assassino determinata e spiegata come effetto e sviluppo di traumi infantili vissuti (e non risolti) dal protagonista.
Passando al tema che interessa noi, conviene soffermarci sull’interpretazione e sul ruolo che assume la ricerca e la pratica del perdono. Il titolo “La vendetta del perdono” per noi chiaramente costituisce un ossimoro.
Il perdono in questo contesto non libera, ma imprigiona; non porta benessere ma smarrimento; il perdono isola e deprime, non migliora la socialità e la relazione interpersonale.
Il perdono assume le caratteristiche di una vendetta, elaborata con cinismo, fredda razionalità da parte della vittima; la vittima non è in grado di arginare la propria sofferenza e ne resta succube. Pur sapendo Elise che anche il mostro che compie le azioni più esecrabili è sempre più delle azioni che ha compiuto, che è sempre più del passato; che il mostro è anche ciò che può essere, il proprio divenire, che può cambiare rispetto al passato, se viene aiutato e sostenuto, … Pur sapendo questo, Elise si impegna a organizzare e coniugare il futuro di Sam come determinato dall’incombenza e ineluttabilità del passato e dell’identificazione retrospettiva.
La vendetta di Elise implica la penitenza (o pena) del risentimento, dell’odio e la prosecuzione della violenza. La vendetta non può essere la terapia per curare la propria sofferenza; la vendetta sopprime, distorce, contamina l’umanità intrinseca della persona; la vendetta si alimenta omeopaticamente, la violenza richiama altra violenza.
Il perdono è una scelta consapevole e una decisione responsabile e cosciente; consente alla persona di proiettarsi verso il futuro e di rielaborare il proprio divenire, la propria revisione mentale e comportamentale in modo da acquisire/riacquisire la propria auto-
nomia funzionale.
Chi ci guadagna dallo sviluppo di questa vicenda nella interpretazione elaborata dall’Autore?
– Non Laure, la vittima e le altre vittime dirette: quelle ragazze violentate e uccise
perdono consistenza, continuano ad avere il loro motivo o ragione d’essere non in
quanto vittime, ma perché servono a rendere più mostruoso e depravato il mostro
e a legittimare o nobilitare la risposta o reazione vendicativa.
– Non ci guadagna il carnefice perché gli viene confezionata ed egli stesso assume un’identità retrospettiva a cui resta ancorato e dalla quale riesce a staccarsi senza allontanarsi a sufficienza, perché l’aiuto che riceve da Elise è volutamente insufficiente e temporaneo; si riscopre sensibile, si immerge nella sofferenza propria, nella sofferenza causata da lui alle vittime e ai parenti, si rende autocosciente delle proprie colpe, ma non può riemergere dalle ‘sabbie mobili e dalla fossa dei problemi’ che restano ancora più inestricabili.
– Non ci guadagna Elise, la vittima indiretta, perché prima focalizza e dedica la sua esistenza alla decostruzione della personalità del criminale e poi si esplica nell’abbandono prematuro e nel compiacimento derivante dalla constatazione della sofferenza inflitta al carnefice.
• “Cos’è per lei il perdono?”: risposta di E.E. Schmitt. “Dire all’altro: non ti riduco al male che mi hai fatto. Restituirgli la sua
vera umanità, ma anche a me stesso, perché entrambi siamo capaci del peggio e del meglio. (…) Ci sono perdoni puri e impuri. Puri perché sono pura generosità. E poi perdoni interessati, che sono calcoli. Perdoni egoisti. E quelli profumati di vendetta”.
A cura di A. De Salvia
